Il mio nome è Ghigliottina. Giuseppe Ghigliottina.
Capitava spesso che durante una esecuzione pubblica il boia si rivelasse non all’altezza del compito. Succedeva così che il primo colpo di spada, invece di arrivare preciso sul collo, finisse su una spalla, o su un braccio, e che poi dovessero seguire altri colpi assestati sempre con mano maldestra ma sempre senza riuscire a tagliare la testa, ma solo straziare.
Addirittura a Firenze in epoca rinascimentale successe che, in occasione dell’esecuzione di un giovane dai tratti particolarmente belli e piacenti, il boia si rivelasse così maldestro e incapace da sfigurare e sfregiare il povero condannato senza riuscire a ucciderlo. Dal pubblico, che in occasioni del genere accorreva numeroso portando con sé moglie e bambini, si mossero in molti per far finire questo scempio e per completare l’opera, e già che c’erano pensarono bene di uccidere (oltre al condannato) anche il boia: colpevole di non saper fare il proprio mestiere a regola d’arte.
Si andava poco per il sottile: si uccideva sul patibolo o per lama o per impiccagione. In genere dopo che si erano torturati i condannati in caso di aggravio della pena. Ma la tortura era riservata il più delle volte ai servi (già in epoca romana solo i servi potevano essere torturati) o ai condannati per eresia. Così come la modalità di esecuzione poteva variare sulla base della classe sociale del condannato. Sulla croce ci finivano i ribelli, i rivoluzionari, i sediziosi. Anche la corda dell’impiccagione era riservata ai lazzaroni, ai ladri, ai delinquenti. La spada, tradizionalmente, era invece considerata una morte non infamante.
Così quando nel ‘700 sorse in tutta Europa il movimento illuminista si fece sempre più forte la voce che chiedeva sia l’abolizione delle torture e della pena di morte, ma anche, e soprattutto, della disparità. Si doveva morire tutti nello stesso modo – se condannati al patibolo – e non in base alla propria classe.
Nel 1764, a Livorno, fu pubblicato un libretto che ebbe un notevole successo in tutto il mondo (dagli Stati Uniti del Presidente Thomas Jefferson, alla Russia di Caterina alla Francia della Enciclopedia e della Rivoluzione) intitolato ‘Dei Delitti e delle Pene’ scritto dall’illuminista italiano Cesare Beccaria. Era un tentativo di portare una ventata di raziocinio. In pratica si sosteneva la tesi che la pena non poteva variare sulla base del censo (ricchi/poveri) e della classe sociale (nobili/contadini) a cui si apparteneva ma che dovesse essere uguale per tutti.
Così agli albori della Rivoluzione Francese si pose il problema di quale fosse il ‘giusto’ modo di trattare i condannati ed è qui entra nella storia un certo Giuseppe Ignazio Ghigliottina (Joseph Ignace Guillotin). Fu lui infatti a presentare alla Assemblea Nazionale la proposta di una legge che prevedesse, come applicazione della pena di morte – indipendentemente dal reato commesso – la decapitazione, da praticare con un semplice meccanismo.
Macchine da decapitazione erano già in uso da tempo, basti pensare che al British Museum è conservata una stampa che raffigura la morte per decapitazione di un certo Murdoc Ballag, in Irlanda nel 1307. In Inghilterra una macchina simile era chiamata ‘Patibolo di halifax’ mentre in Scozia, quando era in funzione (già dal ‘500) veniva chiamata ‘Pulzella Scozzese’. In Italia invece era chiamata popolarmente la ‘Mannaja’ ed era caratterizzata da una lama a mezzaluna.
Successe però che durante la presentazione della sua proposta di legge, Mensieur Guillotin, infiorettò il suo discorso con alcune frasi poco felici, una in particolare « Con la mia macchina, vi faccio saltare la testa in un batter d’occhio, e voi non soffrite » fece scoppiare risate in tutta l’aula. Guillotin però non era un tipo che amava essere contraddetto o deriso, e si arrabbiò moltissimo proprio perché non venne preso sul serio. La cosa al momento si fermò lì, senza un nulla di fatto.
Però il problema era serio, nelle carceri c’erano già file di persone che i tribunali avevano condannato alla pena capitale e quindi l’argomento fu ripreso: si discusse su quali modalità di esecuzione fosse giusto scegliere, anche perché si riteneva che la morte per impiccagione fosse infamante e che solo la lama fosse adatta alla nobiltà.
Fu chiesto un parere al boia di Parigi che scrisse una lettera in cui elencava i punti critici della nuova macchina: si doveva avere un boia esperto, si dovevano avere lame adeguate, si doveva contare sulla collaborazione del condannato. Il boia sosteneva infatti che solo i nobili potevano garantire questo ‘aplomb’, la fermezza di non indietreggiare davanti alla morte, ma il popolino come avrebbe reagito? E se, come pensava, il condannato avesse cominciato a muoversi?
Fu chiesto un progetto al medico e scienziato Antoine Luis segretario dell’Accademia di medicina di Francia di studiare il progetto della macchina. Il progetto fu presentato e visionato il 17 marzo 1791 dal ministro della giustizia. Nel frattempo Guillotin interpellato, non ne volle più sapere e rifiutò con sdegno qualsiasi coinvolgimento.
Fu chiesto il preventivo ad un carpentiere dello stato che fece una richiesta esagerata: 5660 franchi. Allora fu interpellato un musicista prussiano, Tobias Schmidt, che realizzò la macchina per 960 franchi. Sperimentata su cadaveri, montoni e pecore entrò ufficialmente in funzione il 25 aprile 1792 per l’esecuzione di Nicolas Pelletier, ladro e omicida.
Le persone che numerose assistettero alla prima esecuzione andarono via deluse, il tutto si era svolto in modo così fulmineo (rispetto ai gusti del tempo) che non avevano avuto soddisfazione. Da allora però la macchina iniziò a lavorare a ritmo vertiginoso e in base a stime approssimative relative al periodo della Rivoluzione Francese sembra che siano passate sotto la lama della ghigliottina fra le 15.000 e le 25.000 persone.
All’inizio, in postazione fisse, poi mobile e trasportabile, la macchina prese il nome del medico dell’accademia (Antoine Louis) e fu battezzata inizialmente Louisette o Petite-Louise.
A fare entrare nell’uso popolare in nome Ghigliottina ci pensò invece la stampa ed i giornali dell’epoca che un po’ per creare delle assonanze e delle rime, fra Guillotin e machine, un po’ perché i giornalisti trovavano divertente stuzzicare il deputato ‘Guillotin’, che se pungolato si arrabbiava come un ossesso: tant’è che in vita non volle mai vedere in azione quella macchina che, a dispetto, portava il suo nome.
Chi aveva materialmente costruito la macchina, cioè Tobias Schmidt, fiutando l’affare, pensò di brevettarla. Ma la domanda fu rifiutata sdegnosamente dallo stato francese e non gli furono riconosciuti diritti nelle riproduzioni successive.
Dalla Francia della Rivoluzione la ghigliottina ha poi trovato una collocazione sui patiboli di tutto il mondo, dalla Cina all’Africa, dal Madagascar al principato di Monaco per arrivare … in tutta Europa e perfino nello Stato Pontificio! Anche sotto la Germania nazista lavorò senza sosta! E’ stata usata per l’ultima volta in Francia, il 10 settembre 1977, a Marsiglia.