Questa frase è contenuta nei Fratelli Karamazof, il romanzo che Fedor Dostoevskj pubblicò nel 1880, poco prima di morire. In queste parole è contenuta una amarissima verità. L’uomo purtroppo, a differenza di tutti gli altri animali presenti sulla terra, è l’unico essere vivente in grado di progettare crudeltà, talmente efferate e raffinate da poter rasentare l’ingegno artistico.
Basti pensare all’acqua. Se esiste qualcosa di semplice da fare si dice: semplice come bere un bicchiere d’acqua. E cosa è in grado di fare la mente umana? Trasformare l’acqua da elemento vitale, trasparente, puro, limpido nell’esatto contrario. Cioè uno strumento di tortura. Intorno all’acqua la mente si è scatenata in raffinatissime forme di sevizie, così da inventare macchine e oggetti sempre più complicati.
L’acqua ( ma in molti casi si usava il suo antagonista: fuoco) serviva in prima istanza nei tribunali inquisitori per determinare l’innocenza o la colpevolezza. Questa prova dolorosa serviva a determinare l’innocenza e, solo nel caso in cui la vittima l’avesse superata senza subire danni, la si poteva ritenere innocente. Da tradizione questo tipo di prova si chiama Ordalia, ovvero giudizio di Dio, ed è un termine di origine longobarda. Le cronache riportano diversi tipologie di Ordalia, ma la Chiesa in genere tendeva ad considerare validi solo quelli accompagnati da formule religiose.
Tra le prove più frequenti vi era appunto il giudizio dell’acqua. In questo caso si trattava di legare saldamente l’accusato ad una tavola di legno su cui stava inciso il suo nome, quindi veniva gettato in acqua. Successivamente veniva ritirato a galla tramite une fune: se era ancora vivo era innocente. Ma se per caso fosse rimasto a galla allora era sicuramente colpevole.
Esisteva sempre con l’acqua anche una prova esattamente contraria: si legava una grossa pietra al collo della vittima e si gettava nel fiume: si voleva dimostrare che se fosse rimasto in superficie sarebbe stato perché su di lui aveva agito il miracolo divino e se … invece andava a fondo era per colpa dei crimini che lo portavano verso il basso. Come sempre si tende ad immaginare che in basso al centro della terra risieda il maligno Lucifero ed invece la salvezza sia lassù, nell’alto dei cieli …
Altri come prova dovettero affrontare la richiesta di togliere dal fondo di una pentola d’acqua bollente una pietra, ed immergervi una mano, e le conseguenze riportate dopo questa azione venivano lette ed interpretare come indizi di colpevolezza o innocenza.
Una volta appurata il grado di innocenza o colpevolezza si poteva passare alla indagine vera e propria e alla ammissione di colpa sotto tortura. In questo caso veniva messo in campo un supplizio atroce. La vittima è posta su un piano inclinato con la testa in alto, legata ad un asse e con il naso tappato. Con un imbuto, messo forzatamente in bocca si costringe ad ingurgitare enormi quantità d’acqua prima di riuscire a prendere aria.
L’operazione veniva ripetuta più e più volte. Ma il supplizio era solo all’inizio: il terrore da soffocamento … in questo caso la privazione d’aria era l’anticamera della tortura successiva. Quando la vittima si ritrovava con il ventre gonfio e dilatato per le enormi quantità d’acqua ingurgitate, si inclinava l’asse nella direzione opposta. Messo a testa in giù la vittima si ritrova con una pressione sul diaframma e sul cuore che causava indicibili sofferenze, amplificate dai colpi inflitti sull’addome con la mazza dal boia.
La vittima se sopravvive a questo supplizio, si troverà a vivere il resto della vita, con gravi danni al cuore e all’apparato respiratorio. Con questo tipo di tortura, come è ampiamente documentato da macchine autentiche presenti al Museo, si sono inflitte pene in quasi tutti i paesi europei, nel periodo che va dal 1500 al 1800.