Molti pensano che quello che succede oggi alle donne – stiamo riferendoci al caso di Sara la ragazza della Magliana, bruciata viva dal suo ex – sia un fenomeno dei nostri giorni. Certo, nelle modalità in cui si svolge, nella visibilità che trae da tv e social network, è espressione di qualcosa di nuovo ma anche di antico. Perché la brutalità e la sopraffazione dell’uomo nei confronti della donna, della sua rivendicazione di libertà e di autonomia, è certamente qualcosa che viene da molto lontano.
Proviamo a leggere una sequenza di fatti. Prendiamo un periodo specifico, 30 giorni o poco più di questo inizio 2016, e proviamo a mettere in fila alcuni fatti di cronaca:
– Nei primi dell’anno a Ragusa viene scoperta una donna tenuta segregata dal suo convivente, che da due anni la riempiva di botte per non farla andare via.
– Negli stessi giorni nei pressi di Ancona una donna è massacrata di botte dal suo ex fidanzato.
– A Città di Castello il 3 di gennaio una donna uccisa con dieci coltellate dal figlio.
– A Torino due giorni dopo una donna è finita in coma per i colpi che il marito le ha inferto sulla testa con un bicchiere.
– A Firenze sempre ai primi dell’anno una donna è stata uccisa dall’uomo che qualche istante prima ci era andata a letto.
– A metà gennaio due nonne sono state massacrate dai rispettivi nipoti: una dilaniata da una sega elettrica e l’altra con il cranio fracassato da un vaso di cristallo.
– In Sicilia il primo febbraio una donna è stata strangolata dal marito davanti al figlio di 4 anni.
– Lo stesso giorno in Campania, un uomo ha dato fuoco alla compagna incinta al nono mese.
– All’inizio di febbraio un’altra è morta, con la testa quasi staccata dal corpo, uccisa dal marito. E stiamo parlando solo di fatti in cui è dovuta intervenire la polizia…
Secondo quanto rilevato una donna e mezzo su 10 ha subito violenza in ambito familiare/domestico. Si registra mediamente 1 caso al mese in regioni come la Toscana. Ma ci sono molte regioni d’Italia dove si registrano 1 caso ogni 2-3 giorni.
Anche se questi numeri sono impressionanti, proprio perché mettono in fila episodi che il più delle volte stanno alla periferia della nostra attenzione e facciamo fatica a collocare in sequenza, purtroppo fanno parte di un quadro di sopraffazione e di violenza che ha ragioni ancora più arcaiche e che riteniamo vadano approfondite e non eluse.
Partiamo da un assunto che è già oggetto di controversia: ai maschi la guerra piace. La violenza è una parte importante del loro essere. Non è forse vero che quando si ritrovano al fronte, con un fucile in mano, tremano ed hanno paura? Che il cuore pompa adrenalina all’impazzata, il furore scorre nelle vene, e sono paralizzati dal panico? Ma poi? Quando il pericolo è passato? Quando i morti sono gli altri, cosa succede quando è il momento di raccontare cosa è successo? Succede che si torna a casa come un eroe, e si racconta di quanto la guerra fosse al limite, fosse orribile, estrema, ma alla fine… bella!
Quanti videogiochi – che sono il prodotto base dei maschi – si basano su questo assioma? Quanti film e serie tv sbrodolano intorno a questi argomenti? La guerra come territorio dove si misurano atti estremi dove tutto è lecito, dove dominano istinti primordiali? Roba prodotta da maschi per un pubblico maschile.
E perché invece le donne quando guardano quella roba sentono orrore? Perché nei racconti delle donne che sono passate attraverso i campi di battaglia disseminati di morti di ogni parte del mondo e razza, pensano al dolore? All’inutilità, all’abominio? Perché vedono cose diverse da quelle che vedono i maschi. Per una donna la guerra, come la tortura e la violenza, è un’altra cosa rispetto al maschio. Perché un maschio raramente ragiona in quei termini. Le donne sono legate all’atto della nascita, alla vita. Le donne portano in grembo la vita.
Proviamo ad osservare il fenomeno da un punto di vista storico e non solo sociologico. Il Museo della Tortura è anche un utile percorso nella ‘storia’ della tortura: molti pensano che sia una parata di macabri oggetti, ed è invece la testimonianza più cruda e veritiera di quanto il fenomeno della tortura uomo vs donna sia una realtà storica. Fermatevi dentro uno di questi piccoli ma curati e attenti musei. Guardate quelle macchine e provate a leggere le didascalie che ci stanno sotto. Ci leggerete di macchine pensate per la mutilazione dei seni. Ci troverete la spiegazione di come quegli oggetti che avete davanti agli occhi siano davvero serviti a straziare organi genitali femminili.Perché anche in epoche remote quando si è trattato di reprimere il desiderio di libertà e di indipendenza delle donne ci si è accaniti sulle parti del corpo che sono espressione della sessualità femminile? Che sono il segno più marcato della differenza dall’uomo?
Che si tratti di verità, magari scomode, e non fantasie mirabolanti potrete scoprirlo direttamente da voi, basterà leggere cosa sia stata la caccia alle streghe nella nostra Europa. Cosa ha significato per milioni di donne innocenti, incolpevoli, magari credulone ed ignoranti, trovarsi nelle grinfie dell’Inquisizione.
Si crede che un tempo fosse il mistero della fertilità ad atterrire l’uomo; che fosse la sessualità della donna a sfuggire al dominio: si pensa che fossero questi elementi ad attizzare le violenze e le torture. Ma non è la stessa cosa oggi? E se anche quelle macchine e strumenti di tortura sono comparse nel Medio Evo e poco dopo, non erano già state pensate e usate, magari con altre tecniche, in tempi ancora più remoti?
Basterà un giro in quelle stanze, in mezzo a quelle macchine vere (appartenenti a collezioni private ed oggi proprietà del Museo) per capire quanto di quei gesti antichi rivive oggi nella brutalità dei fatti di cronaca.