Ci fa comodo credere – ma è illusorio – che la storia della tortura non esista, o che si tratta di episodi avvenuti in secoli bui e oscuri, oppure come frutto malato di menti devastate e deviate.
Purtroppo non è così.
Come, non è vero, un altro luogo comune molto diffuso: più l’uomo si avvicina allo stato di natura, cioè vive beatamente in pace con sé e con i suoi simili, più è ‘buono’. I pellerossa americani, che i bambini di tutto il mondo hanno amato e sognato, per molti aspetti corrispondono in pieno a queste aspettative: in pratica veri ecologisti ante litteram. Rispettosi di ambiente, fauna, flora, disposti ad uccidere animali solo per necessità. Capaci però di feroci torture e violenze terribili ai danni dei nemici che venivano fatti prigionieri. Non solo verso yankee invasori, che arriveranno molto dopo, ma soprattutto verso le tribù confinanti: Cherokee, Apache, Sioux, Chihuaua in nord America; Incas, Maya e Atzechi in centro e sud America …
Chi veniva fatto prigioniero in battaglia era condotto al villaggio, legato e fissato al palo: qui, bambini e donne anziane, giorno dopo giorno, torturavano per gioco e con ‘ostinazione’ il prigioniero. Lo scopo era avvicinare il più possibile alla morte, per poi riportare in vita e ricominciare da capo … più i prigionieri si mostravano timorosi, lontani cioè dall’idea del guerriero che non teme nulla e nessuno, più venivano seviziati.
Quindi si può dire che la storia della tortura fa parte dell’uomo fino dalla sua apparizione sulla terra, infatti è presente addirittura come archetipo … è un’idea archetipica quella per cui i demoni sono animati da un movimento di oscillazione meccanica, perché questo simboleggia la ‘non avvenuta redenzione’: cioè la morte senza salvezza. La descrizione dell’inferno e della dannazione in generale è vista fino dalla notte dei tempi, e cioè dal tempo del mito, come un eterno ritorno al supplizio: Sisifo deve eternamente spingere lo stesso macigno verso l’alto della montagna, le Danaiadi sono condannate a riempire una botte forata,Tantalo tenta invano, senza sosta, di raccogliere i frutti che placherebbero la sua fame e la sua sete. Vi è un assurdo ritmo eterno che conduce sino quasi alla meta senza mai permettere di raggiungerla. Questa è l’essenza stessa della tortura, l’avvicinamento all’orlo dell’abisso della morte che si ripete circolarmente; in mitologia questo è l’attributo dei demoni e degli esseri maledetti.
Storicamente la tortura e le macchine da supplizio altro non sono se non lo sviluppo progettuale e applicativo della rappresentazione dell’inferno e della dannazione eterna; ed è per questo che – purtroppo – la storia dell’uomo corre parallela alla storia della tortura. Quello che infatti definisce e differenzia la tortura dalla violenza, dalla forza bruta è il fatto che la tortura non è solo violenza semplice, è qualcosa di molto più complicato e complesso. Non è un lampo d’odio o di disperazione, di cancellazione. E’ invece pianificazione, progetto, costruzione di un percorso di sevizie secondo una trama scritta a tavolino.
Certo è che nella storia della tortura, come in qualsiasi altra attività umana e disumana ci si legge chiaramente l’evoluzione della tecnica, le invenzioni, la morale, le consuetudini sociali, le paure collettive … Ai giorni nostri la tortura prende spunto anche da ricerche in ambito neurologico, psicologico e farmacologico. Così uno spaccato di quello che può accadere in una dlle prigioni di massima sicurezza ci è stato mostrato crudamente dal film, del 2012, Zero Dark Thirty, della pluripremiata Katryn Bigelow. Racconta di come si è arrivati alla individuazione e uccisione di Osama Bin Laden, del lavoro dei Navy Seals e di un agente che deve scovare il rifugio del leader di Al-Quaida. Il film e la regista sono stati per un bel po’ oggetto di attacchi, al centro di polemiche, perché mostrava interrogatori in cui si fa uso di torture come il waterbording ( cioè immersione sott’acqua), privazioni del sonno, incatenamenti e costrizioni dentro scatole di legno al fine di estorcere confessioni.
Questo per dire che ai giorni nostri la tortura, seguendo il percorso della storia, è venuta in contatto con tutte quelle conoscenze acquisite in molteplici campi: dalla psicologia deriva infatti il risultato di quanto possa essere devastante per l’equilibrio di una persona la ‘privazione del sonno’, somministrata secondo certe tecniche e con meccanismi fino a divenire una forma di privazione che conduce alla follia.
L’obiettivo di questo MAGAZINE è riportare la discussione sulla Storia della Tortura nella sua realtà dei fatti: sgombrando il campo da quelle falsità che la fanno sembrare come frutto deviato di menti devastate o accaduto solo mille e mille anni fa …
L’obiettivo che ci poniamo è affrontare il problema nell’unico modo che ci appare serio e cioè dal punto di vista della conoscenza e dell’educazione. E’ per questo che il Museo della Tortura è da sempre a fianco di organizzazioni come Amnesty International, per la tutela e la salvaguardia delle persone prigioniere, e di organizzazioni animaliste che proteggono gli animali dai maltrattamenti.
Il Museo della Tortura ha affrontato da tempo questo argomento con serietà e senso civico, mettendo al servizio delle strutture museali conoscenza e competenza, raccogliendo minuziosamente pezzi originali, oggetti storici certificati, strumenti di sevizie realmente progettati e realizzati da menti umane ( tutte cose vere e non artificiose come ce ne sono spesso in giro). Tutto questo con il solo scopo di creare una ‘reale’ conoscenza dei fatti.
Molti confondono con altri soggetti il Museo della Tortura, ed il circuito di musei che gestisce, pensano – magari senza averci mai messo piede- che sia solo una parata di macchine ad uso dei sadici, maldestre ricostruzioni di oggetti e sistemi disumani. Una grottesca galleria degli orrori. Non è così. Non è questo l’intento del Museo della tortura e la missione che lo anima, che si propone una fedele ricostruzione nell’ambito della storia della tortura. Certamente si tratta di una parte della nostra civiltà con cui non è facile confrontarsi ma che comunque va contestualizzata e resa oggettiva nella sua realtà storica, con cui, comunque, è necessario confrontarsi per costruire una diversa e continuativa sensibilità sul problema.
Perché solo dalla conoscenza si può pensare di arrivare al superamento; perché è una parte dell’uomo – e per quanto orribile – negandola non ci aiuta a comprenderla.